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Le Lettere di Sandokan – Alberi

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Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: «E’ vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?». Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete». Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male».

Ognuno di noi ha il suo albero, intoccabile, nel suo giardino del suo paradiso. E’ un albero i cui frutti nessuno deve mangiare e che nessuno può “toccare”. Attorno a quell’albero abbiamo costruito tutta la nostra vita, tutte le nostre scelte.

Non dobbiamo pensare a qualcosa di complesso: il nostro albero è semplice.

Vi faccio un esempio, per spiegarmi meglio. Un mio amico teme più di ogni cosa al mondo il fatto che il suo capo possa trasferirlo in un’altra città. Quello è il suo male. Il suo bene è continuare a vivere dov’è. Non è che lo dica apertamente a nessuno. E’ una cosa che sanno tutti, ma di cui nessuno può parlare con lui, perché lui “è mosso sempre da nobili motivi” e ci tiene che tutti lo sappiano. In ogni situazione della sua vita in cui percepisce che qualcosa possa anche lontanamente mettere in pericolo il suo albero del bene e del male, lui si arrocca per difenderlo ed è disposto, per fare questo, a mettersi addosso qualche vestito in più e costringe anche gli altri a cambiare d’abito, per essere più intonati all’ambiente.

Il nostro albero somiglia ai cinque postulati della Geometria euclidea: è come la sorgente del nostro mondo, da cui deriva tutto il resto, che è “necessariamente” vero se non contraddice i nostri postulati. Certo, esiste la debolezza, e non sempre seguiamo ciò che è “necessariamente” vero, se non ci fa comodo o se ci fa paura. Ma non sto parlando di peccati qualsiasi, sto parlando di peccati originali.

Adamo ed Eva trovarono un albero, che non potevano toccare. Che poi non è proprio vero che non potessero: potevano, e infatti lo toccarono e lo fecero diventare un albero qualsiasi, un albero che si può toccare.

Furono loro che, da quel giorno, non poterono più toccarsi come prima, come avrebbero voluto e potuto. E neanche Dio poté più toccarli: «Chi ti ha fatto sapere che eri nudo?»

Avevano sostituito quell’albero con un albero tutto loro, che piantarono nel loro paradiso e difesero, da allora in poi, con più forza di quella che Dio mise a difendere il suo.

Non siamo soli a questo mondo e sarà capitato anche a voi, come è capitato a me, di vivere nel paradiso terrestre degli altri. In questi posti si può vivere in tanti modi: ti puoi tenere alla larga dal loro albero intoccabile e parlare d’altro. Ha un suo lato piacevole tutto questo, e anche riposante.

Ma può succedere, se ci imbattiamo in chi non si accontenta della nostra compagnia ma vuole la nostra intimità, che a un certo punto, passeggiando nel paradiso degli altri (come avranno fatto Adamo ed Eva nel paradiso di Dio), uno si ritrovi davanti a un certo albero intoccabile che non è il suo. Si trova davanti a una decisione: posso toccarlo? Posso mettere in dubbio che sia ciò che l’altro crede che sia ovvero qualcosa che non si può toccare? Perché è chiaro che, toccandolo, gli sconvolgerò la vita.

Se capisco che no, che non posso, non mi resta che andarmene, se posso farlo. Dalla compagnia può nascere intimità, ma chi prova ad entrare in intimità senza riuscirci, finisce per cercare pure la compagnia altrove.

Nel paradiso terrestre l’uomo a un certo punto capì che non ci poteva più stare, perché aveva costruito il suo paradiso con suo albero, che non era certo per tutti. Preferì così restare solo, senza Dio, perché non aveva voglia che Dio gli toccasse il suo albero. Preferì scegliersi da sé la sua compagnia, selezionare gli abitanti del suo paradiso tra quelli che girassero alla larga dal suo albero oppure accettassero di chiamare le cose con lo stesso nome che gli dava lui. Diventò creatore del suo paradiso, divento come Dio.

Prima ho detto che da alcune relazioni che non riescono a diventare intime davvero, ma solo indiscrete, dai paradisi terrestri degli altri, molti preferiscono fuggire. A volte però non si può e ci si rovina la vita. Almeno fino a quando non arriva l’imponderabile ad abbattere l’albero che non si poteva toccare.

“Penso a una certa signora Fidget, che morì alcuni mesi or sono. È sorprendente vedere come la sua famiglia, da allora, si sia rianimata. L’espressione tesa è scomparsa dal volto di suo marito; a volte lo si vede persino sorridere. Il figlio più piccolo, che consideravo una creatura scontrosa e malevola, sta ora rivelando doti di umanità. Il maggiore, che non era mai in casa, se non nei momenti che passava a letto, ora è quasi sempre là, e si è messo a risistemare il giardino. La figlia, considerata da tutti «di salute cagionevole» (anche se non ero mai riuscito a scoprire di che male soffrisse) ora prende lezioni di equitazione – il che un tempo sarebbe stato impensabile – va a ballare tutte le sere, e gioca quanto vuole a tennis. Persino il cane, che non poteva uscire se non condotto al guinzaglio, ora è un ben noto membro del Club del Lampione della strada in cui abitano.

Si sentiva spesso dire, alla signora Fidget, che viveva per la sua famiglia, il che non era certo falso, come tutti i vicini ben sapevano. «Quella donna vive per la sua famiglia – dicevano – che moglie, e che madre!». Faceva tutti i bucati da sola. Vero; lo faceva male, e si sarebbero potuti permettere la spesa della lavanderia; spesso la pregavano di non farlo, ma lei continuava ostinatamente. C’era sempre qualcosa di caldo a pranzo per chi restava a casa, e sempre qualcosa di caldo per cena (anche d’estate). La imploravano di non preparare nulla; le giuravano, quasi con il pianto in gola, di preferire i piatti freddi (ed era vero), ma senza risultato. Lei viveva per la sua famiglia. Rimaneva sempre alzata per dare il «bentornato» a chi, di notte, rincasava tardi; le due o le tre del mattino, non faceva alcuna differenza. Trovavi sempre lì ad aspettarti quel viso tirato, fragile e pallido, quasi una silenziosa accusa; il che significava, naturalmente, che non si poteva uscire troppo spesso, a meno di non passare per un individuo senza scrupoli. Per di più, era sempre indaffarata per qualche cosa; ella si reputava, infatti (non so giudicare se a ragione o torto), un’eccellente sarta dilettante e un’esperta della maglia. E ovvio che poi, in casa, fossero tutti costretti a indossare quella roba; a detta del vicario, dopo la sua morte i contributi di quella famiglia alle «vendite di beneficenza» superano, da soli, quelli messi insieme da tutti gli altri parrocchiani.

E poi, come si preoccupava della loro salute! Da sola sopportava il fardello della «salute delicata» della figlia. Il dottore – un vecchio amico, dato che tutto veniva fatto al di fuori dell’assistenza sanitaria pubblica – ¬non poteva mai parlare direttamente con la sua paziente; dopo una brevissima visita la madre se lo portava in un’altra stanza; la ragazza non doveva avere alcuna preoccupazione, nessuna responsabilità per la propria salute; per lei c’erano soltanto cure amorose, carezze, diete speciali, disgustosi cordiali ricostituenti, e colazioni a letto.

La signora Fidget, infatti, com’era solita ripetere, si «ammazzava di lavoro» per la sua famiglia. Non c’era modo di impedirglielo, né era possibile restarsene seduti a guardarla, senza sentirsi in colpa. Dovevano aiutarla; la verità è che si sentivano continuamente in dovere di aiutarla. Il che significa che erano costretti a fare delle cose per lei, onde aiutarla a fare delle cose per loro che, personalmente, non desideravano ella facesse.

Quanto al suo caro cagnolino, diceva di considerarlo «proprio come uno dei miei figli». Fin dove le era riuscito, infatti, esso assomigliava esattamente a uno di loro, ma, non avendo scrupoli, se la passava molto meglio e, per quanto sottoposto a continui controlli veterinari e diete, e guardato a vista, riusciva talvolta a raggiungere il bidone della spazzatura o il cane del vicino.

Il vicario dice che ora la signora Fidget riposa in pace; speriamo sia davvero così; quello che è certo, è che ora la sua famiglia ha finalmente trovato la pace”.

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